licenziamento per giusta causa

Licenziamento per Giusta Causa: quando metterlo in atto

Il Licenziamento per giusta causa è una delle 2 tipologie di Licenziamento Disciplinare, un provvedimento che può essere adottato dall’imprenditore a fronte di comportamenti del lavoratore posti in essere in violazione delle norme stabilite dalla legge, dai contratti collettivi o dal codice disciplinare affisso all’interno dei locali dell’azienda, tali da compromettere il vincolo fiduciario che deve necessariamente intercorrere tra datore di lavoro e lavoratore.

Appartengono al Licenziamento Disciplinare, sia il Licenziamento per giusta causa che il Licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

In questo articolo vediamo nel dettaglio cos’è il Licenziamento per Giusta Causa, quando si può e ci si deve avvalere di tale licenziamento e tutto quello che bisogna sapere prima di iniziare la Procedura Disciplinare.

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Licenziamento per Giusta Causa: cosa comporta.

La giusta causa opera come una delle possibili giustificazioni di licenziamento, esclude il diritto al preavviso, legittima il recesso anticipato nei contratti a termine, può riguardare, senza alcun differimento di efficacia, anche il lavoratore in malattia, essendo la tutela di questi limitata solo al licenziamento con preavviso e le lavoratrici madri.
Leggi anche gli articoli: Licenziamento per malattia e Licenziamento per superamento del periodo di comporto.

La giusta causa si sostanzia in un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

Le caratteristiche che identificano la giusta causa sono, pertanto:

  • la gravità del fatto che la determina
  • la conseguente immediatezza nella risoluzione del rapporto.

Ne consegue che il datore di lavoro può recedere in tronco, senza obbligo di dare il preavviso.

Si tratta infatti di ipotesi in cui qualsiasi altra sanzione risulta insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro, al quale non può essere pertanto imposto l’utilizzo del lavoratore in altra posizione.

La norma (art. 2119 c.c.) non fa riferimento ad un comportamento necessariamente inadempiente del lavoratore rispetto ai propri obblighi contrattuali; infatti essa usa il termine “causa” e non quello di “mancanza” o “inadempimento”.

Ne consegue che rilevano quei comportamenti e quei fatti, anche extra-aziendali (Cass. 4.09.1999 n. 9354), che per la loro portata oggettiva e soggettiva, per il loro grado di dolo o di colpa, per le circostanze in cui sono stati posti in essere, per i presupposti che li caratterizzano e per gli effetti che producono, avuto riguardo all’attività svolta dal datore di lavoro e alle mansioni attribuite al lavoratore, sono in grado di compromettere la fiducia del datore di lavoro (Cass. 09.08.2004 n. 15373; Cass. 26.05.2001 n. 7188).

La giusta causa può essere rinvenuta in un fatto specifico ed individuato o anche in una serie di fatti succedutisi nel tempo.

In linea generale è riconosciuta la possibilità di giusta causa a formazione progressiva, per la quale il licenziamento in tronco può essere giustificato dal cumulo, complessivamente valutato, di singoli episodi, ciascuno dei quali di per sé sufficiente a giustificare il recesso.

Tuttavia, in caso di pluralità di condotte, si può configurare più che un’ipotesi autonoma di giusta causa, una situazione di recidiva. In tal caso, pur operando il divieto di tener conto delle infrazioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione (art. 7 c. 8 L. 300/70), non è del tutto precluso valutare i pregressi comportamenti del lavoratore: essi non possono assurgere ad ulteriori ed autonome cause di licenziamento, ma possono essere utilizzati come circostanze confermative del fatto contestato e della sua gravità (Cass. 24.02.2012 n. 2870; Cass. 10.01.2011 n. 313; Cass. 21.05.2008 n. 12958).

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L’immediatezza del licenziamento per giusta causa

Ulteriore elemento costitutivo della giusta causa è l’immediatezza.

L’immediatezza – sia della contestazione disciplinare rispetto al verificarsi della mancanza addebitata al lavoratore, sia della successiva irrogazione del provvedimento espulsivo – si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso per giusta causa del datore di lavoro.

ATTENZIONE. La non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.

A tal fine assume rilevanza il momento in cui il datore di lavoro viene effettivamente a conoscenza dei fatti sulla base dei quali intende procedere al licenziamento e non quello in cui gli stessi si sono verificati (Cass. 15.10.2007 n. 21546).

Peraltro, il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore oppure quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento del recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. 02.02.2009 n. 2580; Cass. 22.10.2007 n. 22066).

L’onere della prova dell’esistenza di convincenti ragioni che giustificano un determinato intervallo di tempo fra fatto illecito, scoperta dello stesso, contestazione e licenziamento è a carico del datore di lavoro.

Risulta doveroso sottolineare che la condizione dell’immediatezza, costitutiva del diritto di recedere per giusta causa, va valutata in concreto, con riferimento a tutte le caratteristiche del caso specifico.

Pertanto la mera tolleranza manifestata dal datore di lavoro in precedenza non vale a rendere legittimi i relativi comportamenti lesivi e non preclude al datore di lavoro di mutare atteggiamento in occasione di successive mancanze, né esclude che le mancanze precedenti possano essere comprese in una valutazione globale del comportamento del dipendente, quale indice rilevatore dell’idoneità del fatto per ultimo contestato a costituire motivo di recesso.

Ai fini della legittimità del licenziamento, tuttavia, è necessario che il datore di lavoro, pur senza irrogare sanzioni disciplinari, abbia avvertito il lavoratore del progressivo deteriorarsi della situazione (Cass. 07.08.2003 n. 11933; Cass. 25.09.2002 n. 13493). Leggi anche l’articolo Il regime applicabile in caso di Licenziamento Illegittimo.

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La valutazione della condotta del lavoratore

Nella valutazione della condotta del lavoratore è opportuno che il datore di lavoro osservi i medesimi criteri che il giudice segue nella valutazione dei motivi di licenziamento, circoscrivendo in via generale l’accertamento alle modalità concrete del fatto in esame (Cass. 10.04.2008 n. 9425).

In primo luogo si verifica se, in concreto, la mancanza posta in essere dal prestatore di lavoro abbia leso il vincolo fiduciario.

Solo in presenza della lesione del vincolo si accerta la proporzionalità della sanzione al fatto da questo commesso.

Valutazione sotto il profilo oggettivo

La lesione dell’elemento fiduciario si valuta innanzitutto sotto il profilo oggettivo, vale a dire tenendo conto:

  • della natura e della qualità del singolo rapporto;
  • della posizione delle parti. La gravità della condotta del dipendente, infatti, può essere valutata anche in relazione alla specifica posizione professionale e responsabilità dello stesso nel servizio svolto, in quanto modello diseducativo o comunque disincentivante per gli altri lavoratori (soprattutto se sottordinati) (Cass. 18.01.2008 n. 1077);
  • del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nell’organizzazione imprenditoriale;
  • della circostanza del verificarsi del fatto e dei motivi;
  • di ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto che possa incidere negativamente su di esso.

Valutazione sotto il profilo soggettivo

In seguito la lesione va valutata sotto il profilo soggettivo, vale a dire con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posto in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti (Cass. 29.03.2010 n. 7518), ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo.

Il concetto di giusta causa è indeterminato e il suo confine dipende dal contesto specifico; viene fissato, di volta in volta, con riguardo ad ogni singolo caso concreto, attraverso la puntuale analisi delle circostanze contingenti.

Ogni condotta del lavoratore costituisce, infatti, la risultante di più fattori i quali, concorrendo a produrla diventano tutti indispensabili alla sua comprensione e quindi ben possono giustificare una diversa valutazione di legittimità o di illegittimità dell’eventuale reazione disciplinare.

Il giudice di merito ha pertanto il dovere di accertare, in concreto, con riguardo alle circostanze del caso e all’elemento psicologico della condotta del lavoratore (anche quando esistano specifiche esemplificazioni offerte dalla contrattazione collettiva), se la sanzione del licenziamento per giusta causa sia (o meno) proporzionata rispetto al comportamento contestato al lavoratore.

La proporzionalità pertanto è requisito di legittimità del provvedimento.

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Conclusione

In questo articolo abbiamo parlato del Licenziamento per Giusta Causa.
Ai fini di stabilire se il licenziamento è misura proporzionata e pertanto legittima, si deve tener conto:

  • dell’incidenza del fatto addebitato sul particolare rapporto fiduciario che lega datore di lavoro e lavoratore
  • delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva, nonché dalle finalità delle regole di disciplina poste da tale organizzazione.

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